UN SORRISO INASPETTATO

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UN SORRISO INASPETTATO

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Cari amici di “Città dell’Infanzia”, sapete bene quanto sia importante offrire ai più piccoli un ambiente sonoro “ecologico”, privo cioè delle diverse forme di inquinamento acustico cui siamo fin troppo abituati: urla, televisione di sottofondo, brutta musica… Sapete anche come l’ascolto della buona musica possa rivelarsi decisivo – sin da subito, anzi soprattutto in quella fascia d’età compresa, su per giù, tra gli 0 e i 6 anni – nel percorso di crescita di un individuo. Bene, in un contesto sonoro del genere una composizione intensa, ricca di umorismo e vitalità come la Quarta Sinfonia di Ludwig van Beethoven non può non occupare un posto speciale. Per questo voglio parlarvene.
Beethoven la scrisse quasi di getto, tra la fine dell'estate e l'autunno del 1806, nei giorni in cui si trovava in Slesia, a Grätz, nella dimora estiva del suo antico mecenate, il principe Lichnowsky. A commissionargliela, però, fu un altro esponente dell’aristocrazia, il conte von Oppensdorff, la cui residenza si trovava nella vicina Oberglogau. Il principe e il musicista vi si recarono per ascoltare l’orchestra privata di cui il nobiluomo andava fiero, e fu in quell’occasione che il conte invitò Beethoven a comporre una nuova sinfonia, pagandolo addirittura in anticipo. Quello accettò, ma ci volle un bel po’ perché si decidesse a dedicare la sinfonia a colui che gliela aveva commissionata: cosa che accadde soltanto nel 1808, anno in cui la partitura fu pubblicata. Intanto, nel 1807, la composizione era stata eseguita per la prima volta nel palazzo del principe Lobkowitz, a Vienna.
Si sa, il genio di Bonn non aveva un bel carattere. Proprio nei giorni in cui la Quarta vedeva la luce si consumò la rottura col suo protettore. Lichnowsky aveva chiesto al musicista di improvvisare al pianoforte per alcuni ufficiali francesi suoi ospiti: apriti cielo! Beethoven si sentì talmente umiliato dalla richiesta che corse a barricarsi in camera, e quando il principe fece forzare la porta afferrò una sedia e sarebbe stato capace di fracassargliela sulla testa se lo stesso Oppersdorff non lo avesse trattenuto. Quella notte, in modo a dir poco rocambolesco, ossia calandosi dal balcone – almeno così vuole la leggenda – Beethoven lasciò il palazzo e fece ritorno a Vienna, talmente infuriato da mandare in mille pezzi il busto del principe che si trovava sulla sua scrivania. Nonostante la riconciliazione che seguì i rapporti tra i due si erano ormai irrimediabilmente incrinati, tanto che l'anno seguente Lichnowsky smise di corrispondere al musicista il consueto stipendio annuo.
La sinfonia, nella tonalità positiva di si bemolle maggiore, colpisce per il clima sereno che la pervade da cima a fondo, ben lontano dalla drammaticità della Terza Sinfonia, la celeberrima Eroica. Se pensiamo che sarebbe stata seguita dall’altrettanto celebre e incandescente Quinta non facciamo fatica a capire come quest’opera sia sempre stata considerata, per parafrasare malamente Manzoni, un vaso di coccio tra due vasi di ferro. Vi si è voluto vedere addirittura un ritorno all’eleganza settecentesca, senza accorgersi che in realtà la Quarta tutto è fuorché un ripiegamento. Ascoltate l'Adagio introduttivo () e ve ne renderete conto. Ritroviamo sì un modulo tipico del sinfonismo di Haydn – l’introduzione lenta – ma intriso di un'inquietudine armonica senza precedenti. Beethoven ritarda per l'intera durata del brano l'affermazione della tonalità fondamentale, e così facendo evoca magistralmente un paesaggio privo di punti di riferimento, dove non possiamo che sentirci smarriti. Si inizia pianissimo con un lungo si bemolle dei fiati, ma alla seconda battuta il sol degli archi all'unisono ci spiazza: in quale tonalità ci troviamo? Dovremo affrontare un'ingarbugliata peripezia armonica prima di approdare alla tonica, e sarà allora un’esplosione di energia simile a uno schianto tellurico.
Se ascoltiamo attentamente la musica possiamo apprendere tante cose su noi stessi. La musica non è semplice evasione, non è un sottofondo, non è un narcotico per dimenticare i problemi, né tanto meno un segno di distinzione sociale (quanto sono ridicole e insopportabili quelle persone che frequentano abitualmente la sale da concerto e i teatri d’opera solo per mettersi in mostra e poter dire: “Io c’ero”!). La musica ci conduce, sì, in una sfera superiore e misteriosa – “ci eleva”, come si suol dire – ma per guidarci a una comprensione più profonda della natura umana. Per questo trovo che sia scandalosa l’assenza di un’autentica educazione musicale nelle nostre scuole. Daniel Barenboim, il grande direttore e pianista di cui vi ho parlato più volte, ha detto a proposito dell’inizio della Quarta: «Se hai un senso di appartenenza, una sensazione di dove ti trovi a casa tua, almeno dal punto di vista armonico… allora avrai sempre questa impressione di trovarti in una terra di nessuno, di essere spaesato eppure di riuscire sempre a trovare la strada di casa… Non è una sorta di parallelo del processo che ogni essere umano deve attraversare nel corso della propria vita interiore per affermare ciò che è, per poi avere il coraggio di lasciare che quell’identità se ne vada in modo da trovare la via del ritorno?» (D. Barenboim – E. W. Said, Paralleli e paradossi. Pensieri sulla musica, la politica e la società, Milano, Il Saggiatore 2008).
Una serie di guizzi ascendenti ci conduce al primo tema del successivo Allegro, costituito da una sequenza di note arpeggiate che scendono saltellando i gradi della scala di si bemolle maggiore. Tanti gli spunti melodici secondari: l'unico che possa essere assimilato a un secondo tema vero e proprio è forse il motivetto brioso esposto da fagotto, oboe e flauto a mo’ di imitazione. Segue poi lo sviluppo, ossia la sezione in cui i materiali appena esposti vengono elaborati: ascoltiamo qui i motivi principali mentre modulano attraverso varie tonalità, sino a schiantarsi contro un fortissimo da cui la melodia conduttrice esce ridotta in frammenti via via più flebili e rattrappiti. Ecco che di nuovo, per tornare al parallelo proposto da Barenboim, ci siamo smarriti. L'armonia discende sino al fa, poi sul si bemolle – la nota di partenza – tenuto in lontananza da un minaccioso rullo di timpani per ben ventisei battute le brevi volate ascendenti a noi familiari prendono a dilagare senza sosta tra gli archi: un'irresistibile crescendo conduce così alla ripresa. Siamo di nuovo a casa.
Quali sorprese ci riserva il seguito della sinfonia? Lo saprete nella prossima puntata! (Immagine tratta da )

, musicologo   

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