LE NOZZE DI FIGARO Parte prima

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LE NOZZE DI FIGARO Parte prima

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Pubblicato da Dott. Domenico Andriani in MUSICA E TEATRO · 27 Febbraio 2017
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Wolfgang Amadé Mozart adorava il teatro. Vi si recava sempre con grande piacere; amava le commedie di Molière e Goldoni, i drammi di Lessing e Schiller, seguiva con grande curiosità le novità della scena contemporanea; ma forse il suo autore preferito era Shakespeare. E fino all'ultimo inseguì il sogno di un teatro musicale che, come l'illustre modello shakespeariano, raffigurasse lo spettacolo della vita nella sua inesauribile varietà di aspetti, dal riso al pianto, dal sublime al quotidiano; un'opera in cui l'unione di musica e parola desse voce a quell'inestricabile miscuglio di bene e male, di luce e ombra, che è il cuore umano. Le nozze di Figaro sono uno dei frutti più compiuti e sorprendenti di questa ricerca. Debuttarono al Burgtheater – il teatro di corte – di Vienna il 1° maggio 1786, sullo stesso palcoscenico che quattro anni prima aveva ospitato la trionfale première del Ratto dal serraglio, l'opera che aveva fatto dire a Giuseppe II: «Troppe note, mio caro Mozart». A pensarci bene, l'imperatore non avrebbe avuto torto a muovere lo stesso rilievo alla nuovo capolavoro: Le nozze, infatti, si ricollegavano alla gloriosa tradizione dell'opera buffa, ma la investivano di un mare di musica di ricchezza e complessità senza precedenti. Una novità che, ovviamente, trovava il pubblico impreparato: e difatti la prima ricevette un'accoglienza piuttosto tiepida, destinata però a “riscaldarsi” nelle recite successive. Nel secondo Settecento l'opera seria continuava a godere di prestigio incondizionato, ma ormai sempre più spesso assomigliava a un concerto con scene e costumi, dal momento che l'azione drammatica non vi contava praticamente nulla ed era solo il pretesto per magnifiche arie; e queste nel peggiore dei casi erano poco più che l'occasione di sfoggio virtuosistico per prime donne e castrati (cantanti adulti di sesso maschile che, evirati prima della pubertà, possedevano una voce di eccezionale estensione, potenza e agilità). Intanto però stava avvenendo qualcosa di rivoluzionario: su palcoscenici molto più modesti un nuovo genere si andava affermando, l'opera buffa per l'appunto. La eseguivano cantanti forse meno dotati, in termini vocali, dei loro colleghi seri, ma spesso ben più bravi come attori; se ne infischiava delle trame storiche e mitologiche trite e ritrite (i vari Orfei, Tesei, Cesari e compagnia bella che popolavano i palcoscenici seri) per raccontare piuttosto la realtà di ogni giorno; e soprattutto si connotava per una vivacità, una naturalezza, un dinamismo drammatico assolutamente nuovi. A poco a poco tutta l'Europa ne fu incantata: Napoli, Parigi, Vienna, addirittura San Pietroburgo, dove nel 1782 ebbe luogo, con immenso successo, la prima del Barbiere di Siviglia del compositore tarantino Giovanni Paisiello. Le nozze di Figaro sono tratte dalla commedia Le mariage de Figaro di Perre-Augustin Caron de Beaumarchais. L'idea fu dello stesso Mozart, almeno stando a quanto racconta il librettista Lorenzo Da Ponte nelle sue Memorie. Ma chi era costui? Si chiamava in realtà Emanuele Conegliano ed era nato a Cèneda (l'attuale Vittorio Veneto) da una famiglia ebrea; com'era usanza all'epoca, dopo la conversione al cattolicesimo aveva preso il nome del vescovo che lo aveva battezzato: Lorenzo Da Ponte, per l'appunto. Nonostante si fosse fatto prete, visse da avventuriero e libertino: una sorta di Don Giovanni in miniatura. Coinvolto in un processo per adulterio, fuggì dallo Stato veneto e arrivò a Vienna, dove divenne poeta per i teatri di corte. E fu allora che si imbatté in Mozart. A quel tempo non accadeva tanto spesso che un'opera lirica si ispirasse a una pièce teatrale contemporanea. A maggior ragione appare sorprendente la scelta di un testo di scottante attualità: Il matrimonio di Figaro racconta infatti di un mondo di servi intelligenti e tenaci che riescono a mettere nel sacco una nobiltà pigra e dedita al sopruso e alla difesa di ingiusti privilegi. Messaggio a dir poco audace; e difatti, quando il dramma venne letto al re Luigi XVI (lo stesso che finirà sulla ghigliottina) quello disse: “Questa commedia non si rappresenterà: bisognerebbe prima distruggere la Bastiglia!” – la famigerata prigione simbolo dell'antico regime. Parole profetiche, se pensiamo che la Rivoluzione Francese sarebbe scoppiata di lì a qualche anno. Come sempre accade, il divieto non fece che accrescere la curiosità, il copione prese a circolare e ad essere rappresentato clandestinamente, e alla fine la proibizione non ebbe più alcun senso. Così nel 1784 la commedia poté finalmente andare in scena: un trionfo annunciato. Mozart avrà certo apprezzato il messaggio rivoluzionario del Matrimonio di Figaro: negli ideali di fratellanza, libertà ed uguaglianza destinati a divenire il vessillo della Rivoluzione Francese ci credeva davvero. Ma possiamo pensare che a indirizzarlo verso la commedia di Beaumarchais siano state anche ragioni di ordine drammaturgico: nel Matrimonio di Figaro tutto è movimento, i personaggi vanno e vengono, gli intrighi si susseguono senza sosta. La «folle journée», la folle giornata, come recita il sottotitolo della commedia, inanella situazioni sempre diverse e impreviste, alle quali i personaggi “reagiscono” rivelando ogni volta aspetti nuovi del proprio carattere. Era appunto ciò di cui il musicista aveva bisogno. Mozart, infatti, sa che nulla permane, che tutto muta incessantemente; che ogni atto, ogni pensiero, ogni moto dell'anima accade nel tempo, ed è dunque condannato a svanire, a morire, lasciando il posto a qualcos'altro. La vita è movimento incessante, tanto nella sua accezione esteriore, di mutamento fisico e tangibile, quanto in quella interiore, di continuo trascorrere di stati d'animo. In tanti anni dedicati alla composizione di quartetti, concerti per strumento solista e orchestra, sinfonie e quant'altro – un'esperienza che certo mancava ai grandi autori di opere buffe come Piccinni, Paisiello, Sarti o Cimarosa – Mozart aveva compreso che nulla meglio del linguaggio strumentale giunto a piena maturazione nel cosiddetto “Classicismo viennese” è in grado di tradurre in suoni la vita nel suo incessante divenire. Di qui la ricchezza sinfonica della partitura, dove l'orchestra non è mai un semplice accompagnamento alla voce ma il vero motore del dramma, soprattutto perché ad essa è affidato il compito di scandagliare nelle pieghe più riposte del cuore dei personaggi, stabilendo con la parola un rapporto sempre vario e complesso: ora amplificandola, ora arricchendola di sfumature inattese, talvolta addirittura contraddicendola. In tempi di imperante banalità “sanremese”, quando alla musica non si chiede altro che un innocuo e prevedibile sottofondo, niente è più istruttivo dell'ascolto di quest'opera. Nel teatro mozartiano non c'è posto per una schematica contrapposizione tra buoni e cattivi: Figaro, Susanna, Cherubino, il Conte e la Contessa d'Almaviva sono individui in carne e ossa mossi da forze contrastanti, e dunque pieni di debolezze, di ambiguità, di contraddizioni. Come tutti i grandi drammaturghi – Shakespeare prima di lui, Verdi nel secolo a venire – Mozart ha il coraggio di portare in scena l'uomo come realmente è, non come si vorrebbe che fosse. Cadono così anche gli steccati tra i generi: il comico si tinge spesso di malinconia, il tono buffo si mescola a inflessioni tipiche dell'opera seria, e talvolta può capitare che ci si veda scaraventati di colpo nella tragedia. Proprio come nella vita. Insomma, dal mondo convenzionale e “bidimensionale” dell'opera buffa Mozart ci trasporta in quello ben più complesso e sfaccettato della commedia musicale. Occorre aggiungere però che in Beaumarchais, e in misura ancora maggiore in Mozart, non è in questione un generico e astratto divenire. Una forza irresistibile e indomabile governa le vicende dell'opera, guida i pensieri e le azioni dei personaggi come condannandoli a un perenne andirivieni: è eros, l'amore. E questo perpetuum mobile lo sentiamo sin da subito, nel formicolio sommesso degli archi e del fagotto che apre la celeberrima ouverture (https://www.youtube.com/watch?v=Ym92e36Niyw). La frase comprende dapprima una, poi due, quindi quattro battute, fino a coinvolgere l'intera orchestra in un'esplosione di vitalità simile a una fanfara. Nella parte finale del brano quello stesso disegno iniziale prolifera senza sosta nell'orchestra innescando un vertiginoso crescendo. Che la «folle giornata» della vita abbia inizio! («Voi che sapete che cosa è amor»: una celebre scena delle Nozze di Figaro rivive nelle silhouettes animate di Lotte Reiniger. Immagine tratta da http://classicaljourneyphonic.blogspot.it/...)

 
Domenico Andriani, musicologo   

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