QUANTO CI SPAVENTA IL FALLIMENTO DEI NOSTRI FIGLI?

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QUANTO CI SPAVENTA IL FALLIMENTO DEI NOSTRI FIGLI?

Cittadellinfanzia
Pubblicato da Vanna Dilernia in PENSIERI E PAROLE · 26 Ottobre 2017
Tags: mestieredelgenitoreimparareacadere

“Giacomo, non è farina del tuo sacco”: è così che esordì la maestra, dopo aver letto accuratamente la descrizione delle vacanze estive del suo alunno, assegnata come compito a casa. La terminologia utilizzata non apparteneva a quella di Giacomo: nessuno studente di quarta elementare avrebbe mai avuto quella padronanza linguistica, per non parlare della perfetta fluidità discorsiva che, nelle ore scolastiche, l’insegnante non riscontrava come competenza già raggiunta dal bambino. Purtroppo, non era la prima volta che Margherita, la maestra, riconosceva una “esagerata intromissione” da parte dei genitori del suo alunno nello svolgimento dei compiti e, puntualmente richiamati all’ordine per evidenziare loro la questione, otteneva non di certo un’ammissione di colpa, ma teatrali, quasi comici, tentativi  di descrivere l’autonomia del proprio figlio nello studio a casa. Giacomo, figlio unico, arrivato dopo molti anni di matrimonio, era indubbiamente un bambino intelligente, molto sensibile; la sua timidezza faceva brezza nel cuore delle  compagne che, nei momenti di difficoltà (interrogazioni o verifiche), facevano di tutto per aiutarlo. La sua insicurezza era evidente all’intera classe, aveva timore di rispondere a qualsiasi domanda, si guardava ogni volta smarrito intorno, per recuperare da qualcuno un cenno di conferma che lo potesse spronare a lanciarsi e quando questo non accadeva rimaneva in silenzio immobile. I suoi genitori erano iperprotettivi, presenti, persino, nelle ore dedicate allo sport, durante il pomeriggio, arrivando anche ad intervenire durante gli allenamenti per richiamarlo, affinché seguisse una condotta migliore nel gioco di squadra; così invadenti da ricevere un gentile invito dell’allenatore a sostare fuori dalla palestra, durante l’attività sportiva del proprio figlio. Volevano il meglio per lui: una vita tranquilla e serena, costellata solo di successi e la loro presenza costante era la modalità per garantire un ‘pronto intervento’ ad eventuali cadute e cedimenti, che sapevano bene facenti parte del corso naturale della vita. Giacomo non avrebbe dovuto mai sperimentare il fallimento, la sconfitta, avrebbero sempre pensato loro a ‘salvarlo,’ erano convinti che, prima o poi, avrebbe raggiunto autonomia e sicurezza e che crescendo avrebbe migliorato la sua autostima, tanto da iniziare a camminare con le sue gambe. Era questo il disegno ipotizzato nella mente dei genitori, un disegno offuscato da paure e ‘fantasmi’, in cui il desiderio di perfezione ed ordine si scontrava vistosamente con quella di Giacomo, figura dai colori spenti e opachi, lievemente tratteggiata...
Quanto l’idea del fallimento dei nostri figli ci spaventa? E quanto siamo disposti ad intervenire per evitare che si facciano male, vivendo in prima persona, seppur nel loro piccolo, le problematiche della vita?                         
Insegnare la sconfitta è essenziale, insegnare a cadere, direi, fondamentale... dare la possibilità di imparare a rialzarsi, continuando ad andare avanti, è l’unica lezione di coraggio di cui i nostri figli hanno bisogno per sperimentare realmente se stessi, affinché il fallimento non sia concepito come sconfitta, bensì come importante opportunità di crescita e miglioramento.



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