CAMPANILISMO E PAURA PERVERSA DEL PROGRESSO

Vai ai contenuti

CAMPANILISMO E PAURA PERVERSA DEL PROGRESSO

Cittadellinfanzia

La paura è una delle caratteristiche istintuali dell'uomo che ci guida nelle scelte e nelle valutazioni del mondo circostante e ci spinge a sfidare noi stessi per costruire.             
Il problema davvero importante è indirizzarla. Noi uomini abbiamo bisogno di certezze e il futuro lo temiamo, perché rappresenta l’inconoscibile, l’imprevedibile, ciò che sfugge a qualsiasi premonizione.
Comprensione/previsione del futuro è la maggiore preoccupazione umana. Ecco che la paura diventa lo strumento culturale per eccellenza che ci porta ad aggregarci agli altri esseri umani per creare una forza che avversi l'inconoscibile. Dunque, se è vero che la paura, nella sua accezione positiva, muove alla costruzione, all'ingegno, al rischio, all'aggregazione, quale misura delle infinite possibilità per l'essere umano, nella sua accezione negativa è anche forza che chiude al nuovo, non fa pensare e  riduce tutto a povertà interiore. Un animo non nutrito di curiosità per il diverso è, a sua volta, chiusura verso l'altro da me e all’esplicazione di atteggiamenti  fortemente campanilisti alimentati, a loro volta, da una politica che crea paure (irreali e fantasticate) che restano irrisolte, si auto alimentano e governano la vita dei gruppi sociali, gruppi umani che si chiudono e si impoveriscono a tutti i livelli. Il campanilismo si alimenta di questo e diviene anche il focus attraverso cui si guarda la propria vita e quella  del proprio territorio.                                                                                          
Roberto Escobar, filosofo e sociologo, in ‘Metamorfosi della Paura’, attribuisce alle differenze tra individui la causa della eccessiva accentuazione emotiva dell'antagonismo tra  gruppi.

Il campanilismo, nelle dimensioni culturali, sociali e sportive tra piccoli paesi, dunque, si alimenta di  paura e  chiusura, ma si esprime anche in atteggiamenti ostili e violenti.

Arretratezza culturale e povertà di spirito diventano, poi, il metro su cui si misura il rapporto con i paesi limitrofi, nei confronti dei quali viene naturale alimentare violenza e reiterare comportamenti poco umili. A questi atteggiamenti ostili, orientati all'esterno, si aggiungono comportamenti eccessivamente protettivi e, a tratti, esaltativi della propria città/gruppo dei quali si evidenziano gli aspetti di una identità che si giudica come la migliore e la più giusta. Dunque, la paura, quella che abbiamo interpellato all'inizio del nostro articolo, sembra partorire una progenie di sentimenti e atteggiamenti che portano ad un dinamismo statico, ad un’inerzia dell'essere che procede solo all'interno della propria linea di confine.
Così  facendo, lo sguardo resta precluso alle vere infinite e reali possibilità di essere che sono tutte in potenza nell'essere umano, sia preso singolarmente, nella sua individualità, che socialmente nella collettività.                        
Converrebbe affiancare al senso di pericolo per ciò che è fuori dal mio confine che mi lascia nell'inerzia, una attenta valutazione del rischio di inclusione e accoglienza di ciò che supera il confine? Integrazione, APERTURA  è la parola d'ordine?
Forse, così facendo, allo sguardo saccente e superiore potrebbe sostituirsi uno sguardo complice e inclusivo. Forse all'ostilità si sostituirebbe l'accoglienza...



Continuate a seguire "Filosofia ed Etica"
Il giardino delle parole...



Editore: APS Città dell'Infanzia C.F.92072340729
© Copyright 2014-2019
Città dell'Infanzia
Direttore Responsabile: Serena Gisotti
Torna ai contenuti