Nel
VI secolo a.C.
esisteva la scuola pitagorica che sosteneva, nel rispetto della cultura
greca, il concetto di “Soma =Sema”,
ossia identificava il corpo con una
prigione, in quanto la corporeità veniva interpretata come il limite fisico
per il “pneuma”, il soffio vitale di
ogni essere vivente. Quindi "sema", la
prigione, è rappresentata da ciò che è
materiale, da ciò che è fisico,
da ciò che è tangibile e, quindi, da
ciò che innalza paletti e blocca la
sublimazione dell'anima. Questa concezione, che ha rappresentato il sostrato teorico e ideologico
della teoria della metempsicosi, si è protratta nel tempo e forse è stata anche
sostenuta ancor più saldamente dalla cultura cristiana cattolica. Il corpo è tutto ciò che ci fa sentire
emozioni, impulsi, desideri e
che spesso orienta la volontà in maniera
sbagliata, illogica e irrazionale facendoci compiere anche
azioni errate, deleterie per la nostra salute mentale, per il nostro
equilibrio.
Ma siamo veramente così
convinti che il corpo rappresenti soltanto questa necessaria modalità di
ancoraggio al mondo materiale, o è qualcosa di più?
Inoltre chiediamoci
ciò che proviamo a livello di anima, di
spirito, ciò che muove in noi
emozioni, sensazioni e sentimenti, influenzano
il corpo, lo modificano?

Ma fenomenologicamente,
che cosa accade al corpo quando proviamo un’emozione intensa? E al contrario,
quando è il corpo a provare un dolore, o un piacere, che cosa accade dentro di
noi?
Non
possiamo fare a meno neanche di pensare a che cosa accade al nostro corpo
quando, invece, viviamo in una condizione di anaffettività, quando
priviamo il nostro essere fisico di emozioni. È vero che il corpo ci tiene in vita,
ma dobbiamo domandarci se anche le emozioni non abbiano questa funzione. Ci sono
molte teorie che parlano di una profonda correlazione
tra le malattie dell’anima e il conseguente ammalarsi del corpo. Anche
questo è può essere interpretato nell’ambito filosofico; da Cartesio a Sartre,
molti filosofi si sono occupati di questo argomento, ma la seguente
affermazione di Feuerbach, tratta da “La filosofia dell’avvenire” è, a mio
avviso, la risposta più saggia a tale delicatissimo quesito:
“Le differenze tra essenza ed apparenza,
causa ed effetto, sostanza ed accidente, necessario e contingente, speculativo
ed empirico, non istituiscono due sfere e due mondi, un mondo soprasensibile a
cui appartiene l'essenza ed un mondo sensibile a cui appartiene l'apparenza;
queste differenze sono tutte comprese nell'ambito della sensibilità stessa”.